lunedì 12 novembre 2007

Intervista a Vincenzo Galasso-intervista pubblicata su Zai-net

ORIZZONTI DIFFICILI

L’ITALIA E’ “CONTRO I GIOVANI”

Intervista a Vincenzo Galasso

NOVANTA MINUTI DI RIVELAZIONI E PROPOSTE PER UN’ITALIA CHE NON CI VUOLE BENE.

Di Gioele Maria Pignati, 18 anni

Fabriano (AN)

www.gmparticoli.blogspot.com

“Contro i giovani”, un titolo molto forte quello scelto da Tito Boeri e Vincenzo Galasso per il loro nuovo libro. Ma d’altronde non potrebbe essere altrimenti, non di fronte ad una situazione come quella italiana nella quale noi “sbarbatelli”siamo solo e sempre dei cittadini di serie B. Non ci sono risorse sufficienti affinché si riesca ad ottenere una propria indipendenza, le scuole non son degne di questo nome, il lavoro affronta una profonda crisi di precariato giovanile e tutti sembrano snobbarci. C’è da chiedersi: “ma ci sarà veramente un futuro per noi?”. Abbiamo posto il quesito ad uno degli autori del saggio in questione.

Nel vostro libro affermate che ad avere grande influenza su noi giovani italiani sono le famiglie, “troppo spesso generose con i propri figli, ma non con i figli degli altri”. In che senso?

L’Italia ha una struttura familiare molto peculiare dove convivono elementi d’altruismo privato con forme di egoismo pubblico. I genitori sono generosi con i propri figli nel senso che cercano di facilitare in ogni modo possibile la vita di questi ultimi, magari comprando loro un’automobile, offrendo un anticipo per l’acquisto di un appartamento, e, non di rado, arrivando ad alzare il telefono pur di procurare un lavoro. Si riscontra invece un forte egoismo nei confronti dei figli degli altri considerando che poi quegli stessi genitori, trovandosi a dover scegliere se destinare finanziamenti in aiuto dei giovani o verso pensioni e sanità, imboccano sempre la seconda strada precludendo così molte risorse a quei ragazzi. Approssimativamente ad ogni euro speso per i giovani ne corrispondono tre spesi per gli anziani. Nella società del “Welfare State” la maggior parte delle risorse economiche è affidata ai genitori, pensando che poi saranno loro a prendersi cura dei figli e costringendo così le famiglie a svolgere l’errato compito di ammortizzatore sociale. Accade quindi che i figli tardino ad emanciparsi e che poi crescano, usando le parole di Padoa Schioppa, come “bamboccioni” incapaci di vivere senza il sostegno economico dei propri parenti. Rendere i giovani titolari dei diritti finora riservati agli adulti, specialmente di quelli economici, migliorerebbe di molto la loro indipendenza.

Questa eccessiva generosità nei confronti dei propri figli e conseguentemente questo egoismo verso l’interesse pubblico è qualcosa di sfociato all’improvviso o che rientra in un processo più graduale?

E’ un aspetto culturale che noi italiani ci portiamo dietro più o meno da sempre. C’è stato però anche un progressivo deterioramento della situazione per motivi di carattere chiaramente economico. Ad esempio, se anni fa, quando un giovane entrava a lavorare partiva da un salario iniziale magari leggermente più alto del salario medio nazionale, ciò tenendo conto che entrando da giovani nel mercato del lavoro si ha un livello di istruzione maggiore rispetto a chi nel mondo del lavoro ci sta già da molto tempo, oggi al contrario si è giunti alla retribuzione di un salario anche il 20% più basso della media. Ciò fa sì che un giovane lavoratore non possa far a meno di vivere con il sostegno economico della famiglia alle sue spalle.

Molti giovani, totalmente estranei alla politica ed al sociale, spesso lasciano che qualcun altro pensi al posto loro. Per una maggiore sensibilizzazione proporreste ad esempio di abbassare l’età votante. Ce ne potrebbe parlare meglio?

Ridurre per esempio a 16 anni l’età votante, come è già stato fatto in Austria d’altronde, potrebbe, anche se non in modo dirompente, cambiare un po’ le cose. Questo non avrà un impatto fortissimo per quanto riguarda le dimensioni dell’elettorato, ma sarà tuttavia un segnale molto forte poiché i politici si troverebbero di fronte ad un inedito milione di ragazzi circa con cui dover dialogare e parlare, con relativi cambiamenti nell’agenda politica e nei programmi che saranno rivolti un po’ più a favore dei giovani. D’altro canto, sapendo di poter votare prima, ci sarà di certo un po’ più di interesse da parte degli stessi giovani nei confronti della politica. In parole povere si tratterebbe di dar origine ad un circolo virtuoso, una maniera di avvicinare i giovani alla politica, ma allo stesso tempo anche di avvicinare la politica ai giovani.

Le scuole spesso e volentieri viaggiano nell’indecenza di strutture e professori. “Non che non si spenda, ma si spende male!”. Avete parlato di meritocrazia come possibile scappatoia, potrebbe illustrarci in breve la sua effettiva applicazione?

La parola meritocrazia è veramente abusata di questi tempi. L’idea alla base sarebbe di provare ad usare sistemi di valutazione uguali per tutte le scuole con cui constatare il livello dei nostri studenti, valutare l’efficienza delle strutture scolastiche ed il grado di competenza degli insegnanti. Conseguentemente ai vari riscontri si potrebbe pensare, nel caso di merito, di distribuire una serie di incentivi monetari oppure di dar luogo, in caso di non merito, a situazioni disincentivanti come il cambiamento di sede scolastica dei docenti. Dovrebbe poi essere concessa ai presidi po’ di flessibilità in più nella scelta del corpo insegnanti, permettendo, un po’ come avviene nel mondo del calcio, una sorta di campagna acquisti. Poi, se la squadra va bene è merito del dirigente scolastico e se invece va male pagherà anche lui proprio come paga l’allenatore.

Cambierebbe gli attuali programmi di studio delle nostre scuole? Se dipendesse da lei, riporterebbe tutto al vecchio stile di una volta o modernizzerebbe con nuovi strumenti e sperimentazioni?

Premetto di non essere esperto in materia. Mi pare che l’Italia abbia grandi carenze specialmente dal punto di vista scientifico. Lo vediamo da quei test di valutazione già esistenti, ma anche dalle scelte universitarie compiute dai nostri ragazzi, che spaventati dalla scelta scientifica, preferiscono facoltà di stampo più letterario. Per carità, niente di sbagliato, ma ci si chiede se poi quella moltitudine di gente iscritta a lettere e filosofia, riuscirà mai a trovare un lavoro compatibile con quanto studiato, specialmente quando sette italiani su dieci affermano d’essersi ritrovati a fare cose molto diverse dalle loro aspettive. C’è poi un altro aspetto nel quale i giovani italiani risultano essere molto indietro: la conoscenza delle lingue. Ne parliamo poche e male e questo ci mette in seria difficoltà rispetto agli altri paesi. Se avessi una bacchetta magica, ritengo proprio che cambierei questi due aspetti.

Per aiutare i giovani a districarsi dal precariato voi proporreste d’istituire nuovi contratti a tempo indeterminato con indennità graduali durante i primi tre anni e di fissare un salario minimo degno di questo nome. Ma gli imprenditori come la prenderanno? Come li convinciamo che è questa la strada giusta da seguire?

Gli imprenditori necessitano di far fronte ad un mondo che è diventato sempre più flessibile, nel quale molto spesso si ritrovano ad inseguire la domanda dei loro prodotti sul mercato, dovendo così variare l’occupazione in base alle esigenze. Non credo però, che quella del precariato sia una situazione conveniente. E’ risaputo che in presenza di rapporti di lavoro molto precari s’investe poco in capitale umano e dunque si fa poca formazione. Ciò avviene soprattutto nei confronti di lavoratori a tempo determinato, perché è ovvio che non si voglia investire per insegnare il mestiere a persone che poi andranno via magari dopo soli sei mesi. Di pari passo gli stessi lavoratori non avranno un grande interesse ad imparare abilità specifiche che poi non potranno portare in un’altra impresa. La situazione quindi non fa bene né ai lavoratori né ai datori di lavoro, i quali non avranno mai una forza lavoro particolarmente qualificata o preparata. Ciò che fa il contratto unico è di proporre fasi successive con una crescente protezione contro il licenziamento, proprio per dare al lavoratore ed al datore di lavoro la possibilità di conoscersi meglio. Dopo un periodo di prova di qualche mese si passa ad uno di formazione di circa tre anni dove s’investe in capitale umano, dopodichè si è lavoratori a tutti gli effetti. Va considerato in fondo che, quando c’è già stato un investimento nella formazione di un lavoratore non ci sarebbe alcuna convenienza nel mandarlo via poiché questo significherebbe spendere ulteriormente con la formazione di un nuovo dipendente.

Il debito pensionistico italiano raggiunge livelli eclatanti. Come si potrebbe intervenire sulla questione? Proporrebbe, ad esempio, di eliminare tutte quelle “baby pensioni” che, a volte, non sembrano nemmeno essere troppo regolari?

A metà degli anni novanta in Italia è stata fatta una riforma cruciale, la “Dini”, che ha comportato il passaggio ad un sistema retributivo, rendendo chiaro quanto ci si potesse aspettare dalla propria pensione. La riforma però, fu realizzata con un periodo di transizione molto lungo. Per capirci, chi aveva più di quindici anni di contributi nel ’92, era completamente immune dai cambiamenti apportati. Si è lasciato che passassero tra le maglie di questa riforma molte generazioni di lavoratori che poi sarebbero diventati pensionati. Bisognerebbe dunque applicare la “Dini”, com’è stata fatta, “pro quota” a tutte le generazioni, evitando così che troppi scappino via prendendo pensioni molto più generose di quelle che ci spetterebbero tra una ventina d’anni. Andrebbe poi aumentata l’età di pensionamento, ma questo è evidente: basta pensare che viviamo molto più a lungo che in passato. Il dato sconvolgente però è che per quanto sia aumentata la longevità della vita andiamo in pensione sempre prima. Ciò non è affatto sostenibile!

Una frase d’incoraggiamento per quest’Italia di giovani un po’ troppo “bamboccioni” e bistrattati!

Mi rimase molto impresso ciò che disse una volta Don Antonio Mazzi, il fondatore di Exodus: “è vero che questo è un momento molto difficile per voi giovani, è vero che questo è il momento in cui la politica non vi ascolta però, è anche vero che bisogna incominciare a prendersi le proprie responsabilità”. Sono d’accordo con lui, bisogna cercare d’acquisire una coscienza un po’ nuova. In questo momento i giovani hanno un problema diverso dal passato, né di destra né di sinistra, è un problema generazionale che hanno più o meno tutti i giovani, indipendentemente dal loro credo politico. Anziché creare la propria carriera da un punto individualistico cercando di farsi coptare dall’alto, che provino ad aver un po’ più di spirito d’iniziativa cercando d’individuare maggiormente i loro problemi. Insomma, cominciare ad alzare la testa ed informarsi un po’ di più, anche perché, in questo momento, proprio informarsi è importante, soprattutto per i giovani, perché se devono combattere delle battaglie, che scelgano quelle giuste!

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